mercoledì 29 ottobre 2014

10 improbabili autori di capolavori - The Brains

Per una volta voglio dare credito a Greil Marcus. Non perché sia il migliore o il più influente critico di tutti i tempi; ma semplicemente perché è pur sempre il nume tutelare - se non anche l'inventore, chi lo sa - di tutti i decaloghi in ambito musicale.
E quindi fidarsi di Greil Marcus significa accettare che nella sua (appunto) "Storia del rock'n'roll in 10 canzoni" ci sia spazio anche per MONEY CHANGES EVERYTHING dei Brains. Ovvero che dagli anni '70 in poi l'unica cosa influente che ha prodotto il rock'n'roll, accanto alla sublime angoscia metropolitana dei Joy Division e alla dolorosa avanguardia di Christian Marclay, sia questa riflessione su come i soldi influenzano le persone.
Ok, qui si parla di rock e non di sociologia. E poi, si sa che uno degli obiettivi delle playlist è quello di essere esaustive; e più ampio è il periodo considerato e più si deve accettare che ci sia qualcosa che ti è sfuggito.
Come rimediare?
Prendo in mano da uno scaffale polveroso il disco di esordio di Cyndi Lauper (non Laurie Anderson o Annette Peacock: Cyndi Lauper) e lo metto su dall'inizio. La prima canzone è una cover di MONEY CHANGES EVERYTHING. La ascolto. La riascolto. Rimango perplesso. Vado su Youtube e mi ascolto la sua versione originale. Mi convince ancora meno.
Non sarò mai un bravo critico musicale.

MONEY CHANGES EVERYTHING

venerdì 24 ottobre 2014

il cantautore



Alla fine del concerto, si creò la solita, piccola fila di persone che si intrattenevano col cantautore.
Era un rituale a cui generalmente partecipavo anch'io, illudendomi - come tutti gli altri - di avere qualcosa di più intelligente da dire rispetto a tutti gli altri.
Ci stava dando le spalle e sembrava che fosse contrariato dal pianoforte che aveva appena smesso di suonare. Io non avevo le necessarie competenze musicali per accorgermi se, per caso, la qualità dello strumento non fosse buona, o se il cantautore non avesse addirittura sbagliato qualche nota. Ma le espressioni beate degli altri fan non sembravano avallare queste ipotesi, o almeno non la seconda.
Non che il cantautore sembrasse interessato alle espressioni di chicchessia. Agitava le mani in aria quasi a mimare gli accordi, come fanno i tennisti che roteano la racchetta dopo il colpo appena sbagliato. Gli occhi grigi e il profilo affilato del naso gli conferivano un taglio così severo che il chiacchericcio di fondo piano piano si trasformò in sguardi perplessi, spegnendosi del tutto quando decise lui di parlare per primo:
- Che cazzo di pianoforte...
Personalmente, posso dire che in quel momento a colpirmi non fu tanto la parolaccia, né la voce stridula e molto diversa da quella che aveva utilizzato per tutta la durata dello show. Ciò che non riuscivo a capire era a chi stesse rivolgendo quel lapidario giudizio. Sul palco non c'era ancora quell'affollamento che precede la movimentazione degli strumenti e il personale del teatro stava approfittando proprio di quei momenti per una pausa.
Si sarebbe potuto pensare che fosse a beneficio nostro, quasi a scusarsi di una performance che peraltro nessuno sembrava aver trovato meno che impeccabile. Ma fu evidente che non era così quando il cantautore proseguì nei suoi pensieri ad alta voce:
- Al club Tenco di quindici anni fa. Lì sì, c'era un bel pianoforte.
Naturalmente qualcuno si inserì affermando di ricordare perfettamente quell'esibizione; e qualcun altro rilanciò con un concerto ancora precedente. Seguirono altri ancora; e anche chi lodava il concerto appena finito, in realtà era come se parlasse di una carriera più che dell'ora e mezza appena trascorsa. Lui aveva uno sguardo e una parola per tutti, se non fosse che quelle parole erano in realtà destinate a sé stesso, al ricordo di ciò che era stato e nel quale sembrava stare come un colpevole contento della propria cella.
Mi allontanai in silenzio, consapevole che non avrei potuto aggiungere niente a quello scambio di cortesie. Raggiunsi gli amici che mi stavano aspettando davanti a una birra e ai loro sguardi interrogativi dissi semplicemente che non mi ero preparato la domanda giusta per il cantautore.

venerdì 17 ottobre 2014

10 improbabili autori di capolavori - Eddie Money

"This land is your land, this land is my land/from the redwood forest, to the gulf stream waters", cantava Woody Guthrie.
Gli Stati Uniti: paese enorme ma con un immaginario ancestrale sorprendentemente unitario, all'interno del quale la storia di GIMME SOME WATER non è meno americana del Mount Rushmore o della torta di mele. Quindi, nessuna preclusione: un irlandese nato a New York può benissimo scrivere una canzone su un regolamento di conti ai confini con il Messico; la capiranno nella Grande Mela, in California, nel Wyoming...perfino in Canada (magari coverizzandola come gli SNFU).
Ma, come diceva il poeta, "è la storia, non colui che la racconta".
Di fronte al tutto-bianco-con-croce-su-petto-nudo di qui sopra, quanto tempo ci metterebbe il primo avventore di un saloon di El Paso a tirare fuori la pistola? Ecco.

GIMME SOME WATER

martedì 14 ottobre 2014

l'alba non ci teme

L'alba non ci teme perché qui fuori siamo tutti uguali.
Il club ha chiuso i battenti; ci hanno fatti uscire ed ora andiamo incontro alla domenica, fumando e camminando con un passo più lento della nostra reale stanchezza.
Non potremmo essere più distanti dalla poesia del sole che si alza sulle spiagge trasparenti dei caraibi, o sulle vette innevate delle montagne più alte del mondo: qui ha da scavalcare solamente qualche capannone o qualche torretta dai vetri color verde acqua, troppo bassa per essere chiamata grattacielo.
Raggiungendo le macchine ci imbattiamo nelle biciclette dei bengalesi che a quest'ora iniziano il turno, in questa distesa di fabbriche che per noi è solamente lo sfondo del locale dove, per poche ore alla settimana, ci sentiamo speciali. Come se ci fosse un'enorme scarto fra le loro tute blu e bianche e le nostre minigonne, borchie, anelli, pvc e colori strani nei capelli...quei dettagli che nel momento stesso in cui vogliono fare distinzione diventano automaticamente appartenenza.
Abbiamo ancora una volta nostalgia di quella notte che evidenziava le nostre differenze, creando per ognuno di noi dei profili minacciosi degni di quei delinquenti e di quelle puttane che, per saggezza popolare, sono gli unici che stanno fuori molto dopo il tramonto. Di quella notte che per proteggerci ci rendeva tutti diversi e che sta cedendo ancora una volta il posto ai primi raggi di questa alba, che invece non guarda in faccia nessuno e che rende tutte le sfumature di nero dei nostri vestiti poco più che un indistinto grigio sporco.
Ma nel momento in cui saliamo in macchina, anche quest'alba che sembrava interminabile è già diventata quel giorno a cui avremo tempo di pensare al nostro risveglio. Andiamo.