lunedì 29 dicembre 2014

la maledizione del Natale

La colonna sonora del mio 25 dicembre è stata "E' Natale" di Mina. Forse non la sua canzone più famosa, né tanto meno la più bella, ma almeno per me assolutamente calzante.
Già, sono una di quelle strane persone a cui il natale non piace. E perché mai? Lasciamo perdere. Di solito, quando me lo chiedono alludo nebulosamente a traumi infantili vagamente legati alla figura di babbo natale, dato che le vere motivazioni (o forse la mancanza di vere motivazioni) sono impossibili da spiegare.
Ma, come quasi tutte le persone che le detestano, io sono TERRORIZZATO dalle feste comandate. Le subisco così come lo schiavo subisce un padrone: assecondandolo, facendo il possibile per soddisfare le sue (in fin dei conti prevedibili) aspettative e conservando la vergogna e la dignità per tempi migliori.
Quindi, anche quest'anno, come sempre, mi sono prestato al penoso rito dei doni natalizi.  
Stavolta però ho deciso di seguire i consigli di chi dice che i nemici vanno presi di sorpresa. Ho fatto i miei acquisti alla vigilia di halloween, approfittando dell'incremento di stronzate che ormai da qualche anno riempie le vetrine gli ultimi giorni di ottobre: se proprio devo sentirmi demente, almeno che sia in occasione di una festa che nel senso comune è assai più demente del natale (anche se qui ci sarebbe da discutere).
Il risultato è che gli oggetti acquistati quasi due mesi prima, il 24 dicembre non avevano più alcun senso. Non avevo la più pallida idea di cosa ci fosse dentro le confezioni regalo, figuriamoci quali fossero gli effettivi destinatari degli stessi. Per fortuna con metà delle persone a cui avevo preventivato di consegnarli non avrò alcun contatto fino al 2015. Agli altri ho dato dei pacchetti a caso. Almeno loro a Natale saranno talmente buoni da apprezzare il pensiero.  

MINA - E' NATALE

sabato 20 dicembre 2014

10 improbabili autori di capolavori - The La's

Ci sono due categorie di artisti/gruppi che ci si può vergognare di ascoltare: quelli troppo commerciali e quelli da snob.
A me è sempre capitato di vergognarmi più dei secondi che dei primi. I Placebo in bella vista sugli scaffali fra i Pixies e i Plaid non mi hanno mai scandalizzato, mentre ho sempre trovato insopportabili gli sproloqui sui "segreti meglio riposti" della musica contemporanea.    
Non è certo colpa loro, ma gruppi come i La's sono un tipico esempio di questa seconda categoria. Gli elementi chiave ci sono tutti: un solo disco realizzato in molto tempo e fra mille difficoltà, scarsi apprezzamenti da parte della critica (contrapposti, ovviamente, ad altrettanti giudizi entusiastici da parte di altri cantanti e musicisti), attività live ridotta all'osso. Insomma, tutto ciò che serve agli snob per pontificare:
- su quanto i La's abbiano influenzato praticamente tutto il movimento britpop;
- su quanto fossero meglio i La's rispetto alla successiva creatura di John Power (gli appena più famosi Cast);
- ma soprattutto, su quanto migliore fosse la loro versione originale di THERE SHE GOES rispetto a quella con cui hanno fatto il botto i Sixpence None The Richer.
Come se un intero genere musicale potesse essere influenzato da un'unica band.
Come se due complessi con uno o più elementi in comune non potessero fare musica molto diversa (ma il caso di Paul Weller non vi dice niente?).
Come se non potesse mai succedere che una cover possa essere meglio dell'originale, o che si possa non essere in grado di dire quale sia la migliore.
Un po' più di attenzione alla qualità e un po' meno alla quantità di dischi venduti, please.

THERE SHE GOES

mercoledì 17 dicembre 2014

le conseguenze dell'odio

L'amore ha migliaia di forme, dicono. Ma anche l'odio non scherza.
Si possono amare il proprio partner, i propri figli, gli amici, gli animali, l'umanità.
Allo stesso modo si possono odiare il proprio partner col quale ormai non c'è più niente in comune; il collega che ti rende sempre le cose difficili; il pedone folle che ti ha attraversato la strada all'improvviso e ti ha fatto sbattere con la macchina; il furbacchione che ti ha fatto fare una brutta figura in pubblico e al quale non hai avuto la prontezza di replicare.
Non è tutto ODIO quello che luccica, dite? E siamo sicuri, invece, che l'altro sia tutto e solo AMORE? O chiamiamo con lo stesso nome cose profondamente diverse per pura comodità, o perchè le parole un po' ci spaventano?
C'è da rimanere interdetti di fronte alle trasformazioni che l'amore provoca nelle persone, costringendole a dire, fare, provare cose che non avrebbero mai pensato. Sarebbe fin troppo comodo, allora, affermare che l'odio fa invece emergere la vera natura delle persone. Ma onestamente, anche se così fosse, è qualcosa di cui siamo autorizzati ad avere paura?  
Se l'amore è il contrario dell'odio, il contrario di trasformazione è immutabilità; che non è quella della natura umana, sulla quale c'è da dubitare di poter dire qualcosa di definitivo. E' piuttosto l'Immobilismo, lo scenario in cui le persone e le situazioni negative in cui ci imbattiamo vengono cristallizzate e non riusciamo a percepirne alcun cambiamento. Ciò che ci porta, a lungo andare, a pensare di poter intervenire senza alcun tipo di strascico: come prendere un bicchiere e frantumarlo sul pavimento. Senza riflettere abbastanza sul fatto che le persone e le situazioni non stanno ad aspettare noi.
Forse, più che le conseguenze dell'amore - che non conosciamo e non possiamo controllare - dovremmo temere quelle dell'odio che, proprio perché conosciamo benissimo, ci illudiamo di poter controllare in qualsiasi momento.

martedì 9 dicembre 2014

10 improbabili autori di capolavori - Tommy Tutone

Le persone della mia generazione hanno vissuto gli anni '80 in maniera spensierata, senza cogliere le loro tremende implicazioni in ambito di moda, musica, cinema, lifestyle.
Ora che abbiamo l'età della ragione e che non riusciremmo più a vestirci e ad atteggiarci in un certo modo, proviamo una sorta di tenerezza: non tanto per quei pochi che dagli anni '80 sono usciti più o meno indenni (Madonna, U2, ecc.), quanto per tutti gli altri. Li vediamo cantare ed agitarsi ed abbiamo la sensazione che non riusciranno mai ad evadere dalle quattro pareti di uno schermo televisivo...anche se questo schermo è a sua volta riprodotto all'interno del nostro tablet ultramoderno.
Ma anche la tenerezza può essere una forma di disprezzo. E allora, giusto per vergognarci un po' anche di quello, riflettiamo sul fatto che fra un decennio e l'altro la distanza non è poi così netta. Magari - anche se non è il mio caso - siamo fan di gruppi come Nirvana e Foo Fighters e, quando sentiamo che dal vivo anche loro si sono piegati alla chitarra contagiosa di JENNY, pensiamo: perché non dovremmo farlo anche noi?
E anche i Tommy Tutone ci sembrano un po' meno tristi e i loro colori eighties un po' meno distanti.

867-5309/JENNY, LIVE

venerdì 5 dicembre 2014

è solo un gioco

E' una frase che hanno sentito almeno una volta tutti quelli che hanno praticato uno sport di squadra, anche da bambini o a un livello molto basso.
Ma chi decide quando "è solo un gioco"?
E quali sono i confini del gioco?
Almeno alla seconda domanda, si potrebbe dare una risposta: è una questione di regole, tutto ciò che è permesso si può fare e tutto ciò che è vietato, no. Il che va benissimo se parliamo di sport a livello agonistico: chi lo pratica di mestiere o quantomeno di abitudine sa benissimo quello che sta facendo e, soprattutto, i motivi per cui lo fa.
Ma gli altri? Chi gioca a calcio o a qualsiasi altro sport per puro divertimento...ma è solo e sempre puro divertimento? O la componente di agonismo che in misura variabile è sempre presente, vi si sovrappone in maniera decisiva? Quando un tuo compagno gioca al limite del consentito contro gli avversari, o si pone in maniera polemica negli stessi tuoi confronti, come lo chiami?
E' il dilemma in cui si trova Ben Stiller-Greg Focker in Ti presento i miei. Vi ricordate la partita a pallavolo in piscina? Greg si trova in squadra con il futuro suocero Jack (con cui i rapporti non sono esattamente idilliaci), che lo invita ripetutamente a giocare con più attenzione e soprattutto grinta. Così, il buon Greg, esasperato, finisce con lo stampare una schiacciata dritta sul naso della futura cognata, spaccandoglielo e provocando la reazione ancora più furiosa di tutti i presenti e in particolare (ovviamente) di Jack, che gli urla: "E' solo un gioco, cavolo"!
Il film è divertente, ma questa scena non fa ridere. Anzi, direi che è una delle scene più crudeli del cinema americano recente: crudele proprio perché inaspettata in un film sulla carta piuttosto leggero.
In questo caso, il meccanismo degli equivoci che colpisce il povero Focker innesca una riflessione potenzialmente più ampia (e terribile): un conto è quando gli altri ti attribuiscono comportamenti o qualità negative che non hai, un altro è quando non ti danno punti di riferimento. Quando sei l'unico a non sapere a che gioco stai giocando.
O, peggio ancora, se stai giocando oppure no.