mercoledì 23 dicembre 2015

Tutto quello che ho da dire


Mi è appena tornata in mente la storiella del maestro zen, che non sapeva se era stato lui a sognare di essere una farfalla o se era stata una farfalla a sognare di essere lui.
Forse perchè qui non è possibile distinguere il sonno da ciò che sonno non è. A volte mi sembra di essere costantemente sveglia, altre volte ho la sensazione opposta. E' come se avessi un enorme cuscino sotto di me...ma non capisco se serve a dormire meglio o solo ad isolarmi dal resto, a lasciarmi sola con i miei pensieri. Se di pensieri si può parlare.
Ti ricordi quando entravi con le pentole per svegliarmi, se alla domenica mattina stavo a letto fino a mezzogiorno?
Eri convinto di essere spiritoso, e forse la prima volta lo sei anche stato. Dopo un po' meno, ma non importa.
Ti perdono.
Lo faccio perchè so che ti farà stare meglio. Dove mi trovo io adesso, parole come perdono e colpa non hanno più alcun senso. Ma so che devo farlo per te, quindi tanto vale farlo tutto e subito.
Ti perdono per aver capito forse il 20% di quello che c'era da capire su di me.
Ti perdono per esserti vantato di capire quel 20% come se avessi scalato l'Everest.
Ti perdono per aver sempre - o quasi - rinunciato quando invece avresti dovuto distruggere tutto quello che si metteva in mezzo, ed insistito quando avresti dovuto lasciar perdere.
Ti perdono per non esserti fermato in tempo.
Ti perdono perchè, quando ti ho chiesto se era tutto sotto controllo, mi hai detto di sì.
Ti perdono perchè, quando ti ho detto che fosse successo mi sarei buttata dal tetto, ti sei limitato a sorridere, come se trovassi il tutto talmente inverosimile da non potersi mai avverare, o meglio talmente illogico da non poter mai succedere a te.
Ti perdono per non essere rimasto a casa quel giorno, per non aver risposto al telefono, per non essere salito sul tetto con me, per non avermi trattenuto, per non essere stato sul marciapiede un secondo prima che ci andassi a morire.
Ti perdono per quel figlio che nessuno dei due voleva.
Ora lasciami chiudere gli occhi.

mercoledì 25 novembre 2015

le loro voci

Ogni volta che mi chiedono "Quanto vengono i crisantemi?" mi piacerebbe rispondere così:
- C'è scritto lì, cazzo. Non sai leggere? E comunque non sono crisantemi, ignorante...
Invece faccio un bel sorriso e rispondo:
- 3 euro al mazzo, signora, guardi che belli.
Sono quelli che vengono una volta all'anno (anche se mi viene difficile scusarli solo per questo).
Poi ci sono quelli che vengono DUE volte all'anno. La prima è la settimana precedente al weekend dei morti: mettono i fiori freschi così possono tornare la settimana dopo e far vedere a tutti che si prendono cura dei loro cari, sfoggiando allo stesso tempo l'impeccabile lavoro di stilisti e parrucchieri.
Certo, ci sono anche quelli che vengono tutte le settimane, o quasi. Tutti i giorni, dite? Sì, ce ne sono. Ma non durano molto. Perché sono anziani o perché si stufano, li vedi per un po' di giorni consecutivi, poi basta.
E poi c'è lei. L'unica persona per cui non provo fastidio né indifferenza.
Una signora dall'età indefinibile: sicuramente non una ragazza, ma forse più giovane di quanto non sembri. Forse per il suo stile nel vestire, elegante ma non ostentato; forse per il passo deciso di chi sa dove sta andando, ma non tanto cadenzato da dare l'impressione di volerci arrivare troppo in fretta.
I primi tempi veniva durante la settimana ed io mi offrivo di accompagnarla a destinazione. Alla mia presenza e ai miei tentativi di dialogo rispondeva con un sorriso, che ho imparato presto ad interpretare: il fatto che io fossi lì con lei, se anche non le dispiaceva, non le era comunque in alcun modo indispensabile.
In seguito, cominciò a presentarsi anche il sabato o la domenica, ma mai a cadenze fisse: poteva passare una settimana o un mese e, quando ci si poteva cominciare a chiedere quando sarebbe comparsa, eccola arrivare, col suo mazzo di fiori portato da casa.
E non è evidentemente questo il motivo per cui la ammiro.
Ho capito che era una persona speciale nell'unica occasione in cui l'ho sentita parlare.
Io stavo cambiando l'acqua a un vaso, poco distante da lei e da un gruppo familiare piuttosto numeroso, che si stava raccontando ad alta voce gli ultimi pettegolezzi su parenti ed amici. Ed è stato allora che la signora ha parlato. Ha finito di raccogliere i fiori vecchi, si è avvicinata a loro ed ha detto:
"se venite qui per parlare, non riuscirete mai ad ascoltare quello che loro dicono. Se non vi interessa, andare a parlare da un'altra parte. Se c'è anche una sola persona che è qui per ascoltare, non capirà niente."
Da quella volta, mi viene spesso la voglia di fare una passeggiata all'interno, magari in una di quelle giornate infrasettimanali fredde e piovose nelle quali si può supporre che non ci sia nessuno dentro al cimitero.
Non riesco ancora a distinguere le loro voci. Ma sono abbastanza sicuro che non facciano domande cretine sul prezzo dei "crisantemi".

domenica 11 ottobre 2015

quanto manca adesso?


(IO SONO IL FIGLIO E L'EREDE)
- Lo sai che se volessi potrei dare fuoco alla disco? E' una cazzata: prendo la tanica che ho in bagagliaio, vado al distributore che è qui a centro metri, una bella innaffiata e via.
- Non credere che sia così semplice. Intanto bisogna che non ti veda nessuno.
- Non la vedi quella porta? E' l'uscita di sicurezza. Apri e chiudi...
Sì, sapevo che poco più in là rispetto a dove si appoggiava lei, c'era l'uscita di sicurezza. Vederla, era un altro discorso. L'unica cosa che vedevo era la brace della sua sigaretta che ondeggiava. Una notte d'estate per modo di dire, senza luna e senza zanzare, non si vedeva e non si muoveva un cazzo.
- Non mi ascolti, coglione.
(DI UNA TIMIDEZZA CHE E' CRIMINALMENTE VOLGARE)
- No, è che mi sono incantato un attimo.
- Ah, ma allora ti faccio qualche effetto.
(DI NIENTE IN PARTICOLARE)
- Secondo te?
(STAI ZITTA)
- Non so. Sei così...controllato. Ti ho appena detto che avrei dato fuoco al locale e non hai fatto una piega. Pensati se ci fossi stato dentro.
- Lo avrei saputo prima e sarei uscito per tempo.
(COME PUOI DIRE CHE APPROCCIO LE COSE NEL MODO SBAGLIATO?)
- E se non te lo dicevo, genio?
Io non vedevo un accidente, ma nemmeno lei. Infatti quando le presi la sigaretta dalla mano e la avvicinai al suo viso scattò all'indietro.
- Ma che cazzo vuoi fare?
(STAI ZITTA)
- Stai zitta. Fatti vedere un attimo
(SONO UMANO E HO BISOGNO DI ESSERE AMATO)
Obbedì...per qualche secondo. Poi mi chiese:
- Ti piaccio?
- Sì, ma non nel senso che pensi tu
- Fffff...tu non sei normale. Torno dentro, mi accompagni? O stai qui a pensare a...boh?
(COME CHIUNQUE ALTRO)
- Vai, vai.

Vai pure dentro che ho già capito tutto.
La prima volta che ti ho guardata negli occhi dentro il locale ho scannerizzato il tuo passato. So tutto di te, da quando sei nata il 10 marzo 1992 a Venezia fino all'ultima vodka cola che ti sei bevuta e che ti fa sragionare di dare fuoco al locale, come se qualcuno potesse prenderti sul serio. Che poi è il il motivo per cui mi hai seguito fuori.
(QUANDO DICI CHE STA PER SUCCEDERE ADESSO, COSA INTENDI ESATTAMENTE?)
La seconda volta che ti ho guardata negli occhi alla luce della sigaretta accesa ho visto il tuo futuro. Ovviamente non ti racconterò del matrimonio - nè felice nè disgraziato - che ti aspetta, dei figli, del lavoro che perderai e riconquisterai...non è per te che lo faccio.
Nemmeno tu sei quella giusta.
Uno sguardo per conoscere tutto il passato, uno per conoscere tutto il futuro. E per nessuna il passato o il futuro sono io.
Siamo già a fine serata, questa è la canzone adatta per chiudere.
(QUANTO MANCA ADESSO?
QUANTO MANCA ADESSO?)

giovedì 30 luglio 2015

esodo estivo

Come spesso succede, del discorso che si era scrupolosamente preparato per quando sarebbe arrivato il momento non si ricordava quasi nulla, se non pochi pezzi slegati ed incoerenti. L'unica cosa che gli veniva da dire era un banalissimo, anche se pienamente giustificato:
- Cazzo, quanti siete...
Impossibile contarli, anche perché quelli visibili erano un'infima minoranza. Se fosse stato un po' più in confidenza con la matematica avrebbe potuto usare qualche equazione complessa, ma in tal caso forse il suo mestiere sarebbe stato lo scienziato e non il custode - capo-custode, per la precisione - di Noland: l'ultimo zoo (o bioparco, o chiamatelo come vi pare) rimasto sul pianeta. E per il quale era ormai giunto il momento di chiudere i battenti.

In un periodo di tempo indefinito e indefinibile, a Noland - località di cui pochi peraltro conoscevano l'esistenza - erano stati portati esemplari di animali provenienti da tutti i parchi zoologici del mondo. In qualche caso ciò avveniva prima della loro chiusura, ma il tutto poteva anche essere indipendente: lo stesso capo custode aveva un'idea molto vaga di quanti fossero effettivamente, soprattutto nell'ultimo periodo, in cui il traffico era avvenuto a tutte le ore del giorno e della notte.

Eccoli qui, enormi e microscopici, trasparenti e cangianti, geniali e ottusi: tutti in attesa di sentire dal fedele custode di Noland quale sarebbe stata la loro sorte.

Ma l'uomo sembrava restio non solo a pronunciare il fatidico discorso, ma addirittura a rivelare alcunché. Come nelle discussioni in cui ci si accorge che qualsiasi parola suonerebbe sbagliata, si strinse nelle spalle; si incamminò poi dalla parte opposta a quella dove erano radunati gli animali.
I più intelligenti fra loro capirono che dovevano seguirlo e gli altri si accodarono, in ossequio alle leggi di natura - ammesso che queste ultime avessero ancora un senso.
Dopo un tempo variabile a seconda delle attitudini di ciascuno, gli animali giunsero finalmente alla mèta.
Una barca.
Il cielo non prometteva nulla di buono.

venerdì 19 giugno 2015

sciopero?

- Allora siamo d'accordo. Resta solo da capire qual è il punto di ritrovo.
- Ecco, brava. Un posto sicuro dove tutte possiamo arrivare facilmente. Non come l'ultima volta che le nuove non sono riuscite a trovarlo, le hanno beccate e mandate dentro di forza...
- Vabbè, ma quelle non sanno neanche dove stanno di casa!
- Oh, insomma! Quante volte vi ho detto che sti discorsi non li voglio neanche sentire! Dobbiamo stare unite, lo volete capire o no?
- Sì, sì, scusa.
- Unite sì...poi quando il capo ti chiama, però...
- Ehi, puoi anche parlare ad alta voce se hai qualcosa da dire. Non abbiamo mica finito qui...
- Non importa.
- Eh, no, cara. Adesso dici quello che hai da dire, se no te ne vai.
- Ma che cazzo...
- Ma che cazzo lo dico io. Mi sono rotta di ripetere sempre le stesse cose. Perché uno sciopero vada a buon fine bisogna che siamo convinte tutte.
- Sì, certo. E' facile parlare per te che sei tutta ciccì e coccò col capo...
- Senti, a parte che lui non decide niente...
- Come sarebbe non decide niente? Non è il capo?
- Stupida! si sa che lavora anche lui per qualcun altro...
- Comunque non mi va di litigare. Ne abbiamo già parlato più di una volta.
- Sì, e tu hai sempre raccontato la storia che lo fai per noi, che il sistema si combatte dall'interno e puttanate varie. Io dico che da quando sei tu che ci rappresenti le cose - a te - non vanno poi così male...
- Ha ragione!
- Ma di cosa state parlando???
- Basta!

L'uomo si tolse la maschera, si chinò e comincio a trasportare le scatole. Anche questa volta piene.
- Meno male che anche stavolta lo sciopero è saltato. Il giorno che impareranno a mettersi tutte d'accordo saranno cazzi...

- Già, ma non sarà così presto - commentò l'ape regina.

mercoledì 3 giugno 2015

per caso

Mi hanno fatto più domande nelle ultime 24 ore che in tutta la mia vita precedente, interrogazioni scolastiche comprese. Inevitabile, direi.
Il 99 per cento delle domande era assolutamente demenziale. Inevitabile anche questo, forse.
L'unica domanda non stupida che mi hanno fatto è stata quella a cui, lì per lì, mi sono sentito stupido io nel non saper rispondere. E' stato quando questo giornalista saccente mi ha chiesto se mi sentivo come John Bubber. Ho confessato che non sapevo chi fosse John Bubber,ma solo dopo qualche secondo: mi dava comunque fastidio, farmi trovare impreparato su quello che poteva anche essere un benefattore dell'umanità. E il tizio, con un sorrisetto da schiaffoni a due mani, mi ha spiegato che John Bubber è uno dei personaggi del film "Eroe per caso"...prima o poi me lo guarderò, per il momento ho letto la trama e naturalmente non c'entra proprio niente col caso mio. Meglio prepararsi però, nel caso che qualcun altro me lo chieda.
E sicuramente me lo chiederanno prima o poi. Se non veniva in mente al Signor So-tutto-io, prima o poi ci avrebbe pensato qualcun altro. Evidentemente mi merito di essere paragonato a un attore hollywoodiano, dopo quello che ho fatto.
Ah, non lo sapete?
E' una di quelle storie che, dopo averle lette, la maggior parte delle persone chiude i giornali o cambia pagina in internet, sbuffando: "sì, vabbè...". Molti pensano che le storie inverosimili non possano mai essere vere. Uno che nell'arco di un'ora salva due aspiranti suicidi è difficile da digerire per chiunque...mi immagino commenti del tipo: "e chi cazzo è, Superman?".
E invece è tutto vero. Se non fosse stato per me, il tizio che si stava buttando sotto la metro sarebbe già a fettine e quello che stava cadendo dal palazzo già spiaccicato sul marciapiede.
Quello che forse non sapete - e che non potete neanche sospettare - è che a salvare il primo non è stato un placcaggio da terza linea degli All Blacks; e che a salvare il secondo non è stata una presa al volo degna di un esterno dei New York Yankees (solo con un essere umano al posto della pallina). In entrambi i casi, si è trattato di banali interferenze. Eh, sì. Mi sono scontrato con quello della metro perchè le nostre traiettorie di corsa verso i binari si sono incrociate, mentre quello che stava facendo i 20 piani al contrario ha semplicemente trovato un'inaspettata resistenza nelle mie braccia già protese per il tuffo da 5 piani più sotto.
La prossima volta proverò col veleno, ammesso che mi torni la voglia.  

sabato 9 maggio 2015

il giardino


- Eri mai stata qui?
- No. Tu?
- Nemmeno io. mai sa qual'è la cosa strana? Non ci sono mai stato, ma mi pare di averlo già visto tante altre volte.
- Anche per me ha qualcosa di familiare...
- Sì, vedi lì ad esempio? Scommetto che se giri a destra dopo quell'albero c'è un prato di narcisi.
- Beh, andiamo a vedere, no?

- Come volevasi dimostrare
- Ah, ah. Ma guarda che io non ti avevo mica dato torto!
- Lo spero bene!
- Che scemo che sei.
- Tu mi rendi scemo...ma quanto ti amo?
- Mai quanto me!

- Ma che meraviglia questo parco...dovremmo tornarci più spesso.
- Ma ha un nome?
- Boh...non è nemmeno indicato nella cartina.
- Senti, ma poi sappiamo tornare indietro, vero?
- Questa è una domanda da non fare MAI a un uomo...non lo sapevi?
- Scemooooo

- Ammettilo...
- Eppure dovrebbe essere da qui che siamo entrati...
- Ok, se non vuoi dirlo tu lo dico io chiaramente: ci siamo persi. E tra un po' farà buio. Come pensi di risolverla, mister?
- Beh, in fondo cosa dobbiamo fare domani?
- Ma che...
- Sshhh...vieni qui...

- Yawn
- Ancora sonno?
- Fame più che altro.
- Vado a prenderti qualcosa?
- Come no, genio. Hai visto un ristorante qua vicino?
- Ho un'idea migliore...


Il vecchio scosse la testa.
- Non imparano mai
- Però non è giusto così. L'altra volta li avevi avvisati che non dovevano prendere i frutti di quell'albero - osservò l'uomo vestito di nero.
- Speravo che in qualche milione di anni avessero fatto dei passi in avanti - replicò il vecchio.
- Hai la memoria corta...non ti ricordi cosa hanno fatto duemila anni fa, altro che milioni.
- So già cosa stai per chiedermi - sorrise il vecchio.
L'uomo in nero sorrise a sua volta.
- Ok, te li lascio ancora un po'...ci rivediamo fra...quanto?
L'uomo in nero era già sparito, anche se l'eco della sua voce risuonò ancora a lungo nella mente del vecchio:
- Ma che razza di domande fai? Chiedi a me le cose che dovresti sapere tu...stai proprio perdendo colpi. Au revoir...forse.

sabato 18 aprile 2015

problemi col trasloco

- Non mi capisco più.
- In che senso?
- Non dovrebbe esserci qualcuno in questa camera?
- No, questo è lo studio. Te l'ho già detto ieri.
- Ah, già. Hai ragione.
- Però non è possibile che ogni volta che traslochiamo è sempre la stessa storia...
- Senti, sei tu che ogni volta vuoi cambiare casa. Sai quanto bene starei io se non dovessimo sempre andarcene in fretta e furia...
- Ah, adesso sarebbe colpa mia se ci sbattono fuori ogni volta?
- Mia no di certo...sei tu che ogni volta ti fai prendere dal panico

Slap.

- E non ho neanche tutti i torti - borbottò la mosca superstite, volando verso la finestra più vicina.

giovedì 2 aprile 2015

l'isola

Ho fatto un sogno strano l'altra notte.
Mi trovavo - non so come, non so perché - in un'isola deserta. Deserta nel senso che non c'erano persone: nel sogno camminavo, camminavo per ore e ore senza mai incrociare nessun mio simile.
Eppure, segni di una presenza umana ce n'erano eccome: a un certo punto passavo all'interno di una specie di villaggio, con tanto di capanne col tetto ricoperto di paglia. Ogni capanna era delimitata da una specie di recinto di legno e pietre ed aveva il suo orto; ma nessun orto sembrava in buone condizioni. Anche perché - e questa era la prima cosa strana - c'era una quantità impressionante di conigli che, invece di stare in gabbia, zampettavano allegramente in mezzo alle verdure, mangiando e distruggendo tutti gli ortaggi.
La seconda cosa strana erano degli enormi "granai" che, invece di contenere grano o cereali, erano interamente pieni di uova, di tutti i tipi e di tutte le dimensioni. Eppure non si vedevano nè galline, nè altri volatili di nessun tipo.
Lasciato il villaggio, camminavo in mezzo a un bosco per arrivare in mezzo a una radura nella quale il numero dei conigli e degli ammassi di uova era ancora maggiore. Alzavo gli occhi al cielo e vedevo improvvisamente stormi di uccelli bianchi che correvano in tutte le direzioni, prima di planare a loro volta verso la radura.
Allora, finalmente, ho collegato tutto: i conigli, le uova, gli uccelli bianchi che non potevano che essere colombe.
Mi trovavo nell'Isola di Pasqua.  

venerdì 20 marzo 2015

la porta

Cazzo, che mal di testa.
Ma quanto avrò dormito? Boh. Vediamo...mi ricordo che i dolori sono cominciati dopo cena. A che ora posso essermi addormentato? Prima del solito, sicuro.
Vabbè.
Comunque è ora di uscire.

Cazzo, la testa mi sta scoppiando.
Peggio dell'altra volta. Devo darmi una regolata...ma cosa posso aver bevuto che mi ha ridotto così? Da domani si cambia vita!
Ma...dove cazzo è la porta?
Cazzo. C'è sempre stata la porta qui. E adesso c'è il muro...ma che cazzo succede?
Perché la porta è dall'altra parte?
Non sto bene...

Cazzo, mi sembra di morire.
Non ricordo niente degli ultimi giorni...
Cazzo, non riesco nemmeno ad alzarmi.
Devo.
La porta.
Dov'è?
Aspetta...l'altro giorno era a destra...ma non è sempre stata a sinistra?
Cazzo, non lo so...
Non posso restare chiuso qui...ma perchè no, in fondo?
Si...sta...bene...qui...


Te l'avevo detto che non era poi così intelligente - disse il tecnico di laboratorio al suo collega, rimuovendo il cadavere del ratto dal labirinto.

mercoledì 4 marzo 2015

10 buoni (forse) motivi per non avere figli

1 Non è ancora il momento. Non dico di no in assoluto, ma adesso è troppo presto.

2 Mia nonna ha avuto la sua prima figlia (mia madre) a 25 anni. Mia madre ha avuto la prima figlia (me) a 25 anni. Io ho 25 anni e se c'è una cosa che NON voglio è rimanere fottuta come loro.

3 Non è più il momento. Non dico di no in assoluto, ma adesso è troppo tardi.

4 Ma come si può pensare, seriamente, di fare figli nel mondo in cui viviamo? Già siamo in quasi 10 miliardi e nel giro di pochi anni non ci saranno più risorse nemmeno per metà di noi. Vogliamo proprio piantare un altro chiodo nella bara di questo cazzo di pianeta?

5 Un figlio? Non è proprio il caso. All'inizio piangono e basta. Poi cominciano a picchiarsi fra di loro, e se non gli piace menare gli altri li chiamano froci. Non fanno in tempo a capire le regole dell'interazione sociale che sono già passati all'alcool e alle droghe. E poi, appena pensi di averli salvati da tutto questo, vanno via di casa.    

6 Una figlia? Non è proprio il caso. "Mi scorderei tutti i suoi compleanni fino al diciottesimo, in cui la porterei fuori, la farei ubriacare e probabilmente, diciamolo, me la scoperei".

7 "Distrust of everything, it ran in the family, at least on my mothers side. There was too much trust in the other. I am it's eldest offspring and I too have distrust too much. That's why I don't want children".

8 Un figlio? Boh. Non so. Forse sì, vedremo. Per ora sto bene così. Mai dire mai comunque. Ci penserò. E passami quella canna!

9 E' un equilibrio troppo fragile. Ci si prende la responsabilità di dare vita a una PERSONA, più che a un bambino o a una bambina. Si cerca di condividere con lui o con lei dei valori, che all'inizio possono assumere la forma di insegnamenti, ma poi devono per forza diventare solo ammonimenti o consigli. E tutto questo non basta; perchè quello che si cerca di costruire in anni e anni può essere spazzato via da troppe circostanze di cui non sappiamo assolutamente nulla. Tutto questo è psicologicamente devastante.

10 I figli possono resistere a qualsiasi situazione. Una volta che li abbiamo messi al mondo, imparano presto a superarci: non per cattiveria, ma semplicemente per sopravvivere. E ci riescono benissimo. Noi avremo sempre più bisogno di loro di quanto loro ne abbiano di noi. Loro hanno un'esistenza al di fuori di noi (di cui spesso sappiamo poco o nulla); noi no. Se qualcuno trova tutto ciò rassicurante, che abbia tutti i figli che desidera. Meglio pensarci prima, però.  

venerdì 20 febbraio 2015

due (o più) città in una

Ho sempre avuto un'ottima memoria. Ma se a distanza di quasi 30 anni mi ricordo ancora di questo numero - 91.032 - la memoria forse c'entra fino a un certo punto.
E' comunque una memoria ben strana, quella che abbina un'informazione totalmente inutile (come tutti i dati numerici che si imparano, o si imparavano a scuola) ad una realtà che, invece, mi tocca molto da vicino.
Novantunmilatrentadue, che suona anche più solenne, erano gli abitanti della mia città quando ero in prima media: la prima volta in cui la scuola ci ha fatto prendere consapevolezza di persone e territori che conoscevamo direttamente e non di popoli antichi e lande lontanissime (ai tempi anche la stessa Roma era poco meno che New York ai nostri occhi).
La città allora appariva grandissima: il nostro quartiere, per quanto non fosse più lontano degli altri dalla Piazza (non c'era bisogno di specificarne il nome), sembrava non ritenersi degno di farne parte. Prendere un autobus per andare in Piazza equivaleva a trovarsi in mano un biglietto per Marte, senza sapere se nel biglietto fosse compreso anche il ritorno.
Ora, in qualsiasi momento posso consultare rapidamente Internet per verificare (in tempo reale, quasi) di quanto, esattamente, sia sceso quel numero. Già, perché è risaputo che nelle città di provincia funziona così: sono la decentralizzazione dei servizi e le politiche edilizie dei piccoli comuni limitrofi ad attirare verso questi ultimi chi prima viveva nel territorio della città. Territorio che, ovviamente, è sempre lo stesso, anche se ora per lo stesso risultato che ottenevo con un pericoloso viaggio coi mezzi pubblici mi sembrano sufficienti pochi passi. La città precedente incuteva, se non paura, quantomeno un po' di soggezione. Quella attuale mi sembra invece prevedibile e - banalmente, lo so - aggiungo che mi va stretta, il ché giustificherebbe pienamente il sensibile calo della sua popolazione.
Posso immaginare che tutte queste persone che sono andate via abbiano seguito la sorte del mio amico di infanzia Tommaso, che si è sposato, ha avuto dei bimbi e si è trasferito in un appartamento più grande che la città non gli poteva (più) garantire. Ma non farò un ragionamento così semplicistico: dopo la terza media, ci hanno pensato professori assai più preparati a farmi capire che non è mai opportuno traslare la propria esperienza spicciola su un piano universale.
Ecco, però a me ogni tanto piacerebbe sapere che fine hanno fatto quelle persone che mancano all'appello; e se per loro, come per me, esiste solo una città o ne esistono due, o centomila. O nessuna.      

mercoledì 11 febbraio 2015

10 improbabili autori di capolavori - Neil Diamond

Fra tutti i 10 improbabili autori di capolavori, mi sono tenuto per ultimo la punta di diamante (ehm).
Gli artisti di cui abbiamo parlato finora sono rimasti famosi - o meglio hanno fatto la fortuna di altri - per una o due canzoni. Neil Diamond, invece, è stata un'autentica macchina da successi anche per sé stesso, raggiungendo una popolarità di cui dalle nostre parti si sono viste solo le briciole. E i motivi in parte si capiscono: troppo bruttino per essere un'icona beat negli anni '60, troppo poco intellettualoide per essere un'icona prog nei '70, già vecchiotto per i coloratissimi e rutilanti '80. Eppure in ognuno di questi decenni Neil ha lasciato una serie di zampate: da I'm a believer a Solitary man, da Red Red wine a Girl, you'll be a woman soon, alla colonna sonora del film Il gabbiano Jonathan Livingston: ce n'è per tutti i gusti e per tutte le età. Buon ascolto :)

SEPTEMBER MORN

giovedì 5 febbraio 2015

un tipo geloso

Non capisco perché ce l'hai con me.
E' già una settimana che mangi, esci e mi molli qui da solo. Non ho la più pallida idea di dove vai, di quando torni, di cosa vai a fare. Ma ti pare giusto?
Se sono io il problema, me ne posso anche andare. So dov'è la porta.
Ho anche cercato di parlare con te, ma non c'è verso. Evidentemente non riesco a farmi capire...mi guardi con quegli occhi da cane bastonato che odio, scuoti la testa e te ne vai.
Sai che ti dico? Per stasera ti riserverò un'accoglienza particolare...


"Allora, com'è andata la prima settimana di lavoro?"
"Non c'è male. E' dura perché sono da sola in ufficio e faccio fatica a star dietro a tutto...sai, dopo tanto tempo che non lavori..."
"Immagino...però, dai, almeno hai trovato qualcosa, che di sti tempi non è male!"
"E certo. Vuoi entrare un attimo? Ti offro un prosecco..."
"Giusto, festeggiamo il tuo nuovo lavoro!"

"Cristo santo, ma cos'è sto casino?"
"Ladri?"
"Aspetta che guardo...no, nei cassetti non mi sembra che manchi niente"
"Beh, meno male dai"
"Noooo...guarda il divano!"
"E il tappeto..."
"Ma chi può essere stato? Guarda, tutti i vestiti per terra..."
"Beh, io un'idea ce l'ho..."

"Mamma mia. Non so da che parte cominciare"
"Tranquilla, ti do una mano io"
"Grazie. Sei proprio un'amica"
"Ma figurati. Però te l'avevo detto che era meglio non lasciare il gatto solo in casa tutto il giorno..."

martedì 27 gennaio 2015

10 improbabili autori di capolavori - Reg Presley

Reginald Maurice Ball, in arte Reg Presley. Più o meno come se un attore si facesse chiamare Reg De Niro, o un cantautore italiano Maurizio De Andrè...
Il fatto è che non lo ha scelto lui, questo pseudonimo. Quando i suoi Troggs nell'anno di grazia 1966 spararono uno dopo l'altro 3 singoli del calibro di Wild thing, With a girl like you e I can't control myself, ai critici inglesi poteva veramente sembrare di essersi imbattuti nel nuovo re.
In seguito, non ci è voluto molto a capire che gruppi come Animals e Kinks, per tacere di altri, erano un filino meglio attrezzati come ambasciatori del pop inglese nel mondo. Per molti anni comunque Reg e i suoi hanno goduto di un rispetto incondizionato da parte di colleghi e addetti ai lavori, nonostante fosse abbastanza noto che il loro più grande successo - la citata Wild Thing - era una cover dell'oscuro cantautore americano Chip Taylor (quest'ultimo zio di Angelina Jolie, se a qualcuno interessasse...ma non si merita un approfondimento solo per questo, dai). Il pubblico invece cominciò abbastanza presto a voltargli le spalle, se si eccettua un timido successo nel 1967 con Love is all around.
Sì, proprio quella. Proprio la ballatona che quasi 30 anni dopo, come colonna sonora di Quattro matrimoni e un funerale, avrebbe fatto la fortuna di uno dei peggiori gruppi scozzesi di tutti i tempi e, indirettamente, di uno degli attori più cani che l'Inghilterra abbia mai partorito. Anche se il film non era poi così male.

THE TROGGS - LOVE IS ALL AROUND

mercoledì 21 gennaio 2015

passerà?

- credete che passerà oggi, il treno?
- secondo me no, neanche oggi
- già, non credo nemmeno io
- no, no
- secondo me invece oggi passa
- ovviamente. mai una volta che sei d'accordo.
- ehi, mi avete chiesto e io ho risposto...
- guarda che nessuno ti ha chiesto niente...
- ehi! zitte un attimo!
- ...
- ?
- no, niente. mi sembrava di sentirlo...
- ve lo dico io, non passerà più
- e come fai a esserne così sicura, sapientona?
- lo so e basta
- ha ragione. lei sa sempre tutto
- beh, proprio tutto no. ogni tanto si sbaglia anche lei
- sì, ma è stata lei a spiegarci come misurare...
- sì, lo so. il tempo. e non mi ha mai convinta. come fai a essere così sicura che oggi è oggi, e non un altro giorno?
- per quello che vi dico che il treno oggi non passa...
- perché oggi potrebbe non essere oggi...
- l'ho sempre detto, dovremmo portare anche noi quegli orologi. come loro
- ehi, fate un po' come vi pare. io mica vi obbligo a fare o non fare niente...
- bugiarda! e quella volta...
- zitte!
- ...
- ancora? non c'è il treno, vi dico!
- non passerà ne oggi ne mai
- calma, mancano ancora cinque minuti. e poi, quante volte è successo che è arrivato in ritardo?
- e come fai a sapere che è in ritardo se non hai l'orologio?
- vabbè, sapete che c'è? io me ne vado. ho di meglio da fare
- ah, come no...
- divertiti!

- ehi, ma seriamente. se non passa nemmeno oggi...?
- forse vuol dire che è la volta buona
- cioè? vuoi dire che...
- sì. se ne sono andati tutti.
- quindi è per quello che lui non si vede più?
- già

- be'. aspettiamo ancora cinque minuti.
- ma come fai a sapere quanti minuti sono se non hai...ok, sto zitta.


Dieci minuti dopo (in assenza di orologi, il tempo è approssimativo) le nove mucche rimaste si incamminarono, con ancora più calma del solito, verso le stalle.

lunedì 12 gennaio 2015

10 improbabili autori di capolavori - Harry Chapin

Ok, sono il primo ad ammetterlo: Harry Chapin non dovrebbe stare qui, o almeno non dovrebbe essere accomunato agli irrimediabili sfigati di cui abbiamo trattato finora.
Nel mondo della musica - pur notoriamente frequentato da filantropi - è stata una delle figure maggiormente impegnata nel sociale, tanto da meritarsi addirittura una medaglia del Congresso degli Stati Uniti. Finché ha vissuto è sempre stato al servizio delle migliori cause - in particolare quella della lotta contro la fame nel mondo - ed ha lasciato questa valle di lacrime ad appena 38 anni.
Quindi, almeno da questo punto di vista, la parola "sfigato" per una volta è etimologicamente corretta. A maggior ragione se scrivi una canzone come CAT'S IN THE CRADLE e non solo te la scippa un gigante come Johnny Cash, ma perfino dei rockettari senza arte nè parte come gli Ugly Kid Joe si elevano dal loro mediocre livello per farne una cover gigantesca.
In questa foto ricorda vagamente Donovan. Chissà che storia staremmo raccontando se avesse avuto un decimo della faccia da culo di quest'ultimo...ma, come direbbe Brian Wilson, forse Harry "just wasnt't made for those times".

CAT'S IN THE CRADLE

lunedì 5 gennaio 2015

100 di questi capodanni

Ogni anno, quando ci si trova il 31 dicembre per il veglione, succedono invariabilmente due cose:
1 - all'ultimo momento, manca qualcuno dei soliti amici, quelli che vedi durante tutto l'anno e che per qualche motivo più o meno misterioso il 31 si defilano. Influenze, partenze improvvise, catastrofi varie: poco conta il motivo, la sostanza sta nell'assenza.
2 - all'ultimo momento, si aggrega alla compagnia qualcuno che non hai mai visto prima e che non vedrai mai più. Il fratello, il cugino o l'ex compagno di banco di qualcuno, venuto direttamente dal Galles o da Singapore e in partenza il giorno dopo: poco conta chi sia, tanto rimarrà solo una faccia in qualche foto di gruppo, anzi spesso nemmeno in quella dato che - almeno prima dell'avvento dei selfie - era previsto che fosse lui stesso a scattarla.
Ecco, foto di gruppo a parte, in 100 anni non è cambiato nulla, probabilmente. I due eventi di cui parlavo prima sono praticamente gli stessi che annotava il mio bisnonno nel suo diario:

"Mai avrei pensato di trascorrere un capodanno simile.
Cara Juliet, se potessi vedermi adesso non crederesti ai tuoi occhi.
Sono sbronzo di alcol e sigarette, io che prima di partire non fumavo e bevevo solo mezza pinta il giorno del mio compleanno.
Ma quel che più di tutto ti sembrerà strano, ho perso a calcio e non mi sono arrabbiato. Nemmeno quando il tizio che adesso dorme qui vicino a me mi ha rifilato un calcione. Dovresti vederlo, Juliet: avrà più di 20 anni, ma è molto più biondo del figlio di tua cugina. Si chiama Jurgen, o qualcosa del genere. Fra un po' si dovrà svegliare e tornare dai suoi.
Peccato che Tom non sia qui a festeggiare con noi. Non sono riusciti a rimuovere quella maledetta scheggia. E' morto ieri mattina all'alba

Ypres, 1 gennaio 1915"