mercoledì 28 dicembre 2016

Senza un finale che faccia male


Il giocatore con la maglietta sgargiante, che per tutta la vita è stato convinto di aver dato una svolta decisiva alla storia del calcio, si deve guardare ancora una volta da un difensore più vecchio di lui, con una casacca molto più vincente, schietto come quelli della sua regione sanno essere, roccioso come ne ha affrontati tanti. Ma nè l'uomo in arancione nè quello in azzurro sono soli: ognuno di loro può contare su una squadra, 22 giocatori in tutto; e ognuno di loro veste la stessa divisa, bianca e verde.
Il donnaiolo è tornato nel posto dove si trovava meglio, al Chelsea Hotel, non si sa se a cercare Suzanne, Heather, o quale altra delle sue migliaia di ragazze. "Avrei fatto meglio a dedicarmi solo alla poesia, secondo te?" chiede al suo collega. "Avresti fatto meglio a trovarti un lavoro vero come il mio", risponde ridendo sotto i baffi (un evento raro!) il capostazione.  
"E' la fine del mondo!", dice il gentiluomo veneziano che viene dall'isola dei soffiatori di vetro; "ma la vita è meravigliosa", gli risponde il giovane inglese, che di oscuro ha solo il nome. Non so se avrà tempo e voglia di spiegarlo al suo coetaneo e compatriota, che si sta scolando drink e sogni gratis al club...un giorno smetterà i panni del belloccio da copertina, andrà ascoltato senza pregiudizio.
"Ci servirebbe una batteria, qui" dice il tizio vestito in maniera improbabile, di cui si vedono solo gli occhi: il resto è sepolto da tastiere di ogni forma e colore. "Possiamo aspettare ancora un po'" gli risponde il suo amico bassista dalla voce gentile.
Non so se l'uomo con la bacchetta in mano sia entusiasta di indossare quella maschera da pierrot. Se solo riuscisse a fare star fermo al centro del palcoscenico quel...come definirlo? Mimo? Ballerino? Performer? Il diretto interessato (chiamatelo l'uomo delle stelle, l'uomo che cadde sulla terra, o come più vi piace) sorride con quegli occhi così belli e così diversi. Lui è sempre al centro del palco, anche se non è mai stato uguale a sè stesso un solo secondo della sua vita. 
Al confronto, è molto più tranquillo quel signore dai capelli bianchi. In fondo, per anni ha avuto accesso ai segreti di quattro favolosi musicisti, anzi dei "favolosi quattro" per antonomasia; figuriamoci se lo spaventa questo tappetto ebreo newyorkese che inneggia al suicidio e tratta il microfono come se fosse contemporaneamente il suo migliore amico e il suo peggior nemico. E che forse ha avuto modo di incrociare, nei suoi giri all'interno della Grande Mela, colui che è riuscito a tradurre in immagini sia le porte dell'inferno - la guerra e le sue conseguenze - sia i cancelli del cielo. E che per suo conto sarebbe contento per una volta di lavorare con questo biondino dai capelli ondulati, che fra uno scienziato pazzo e un fabbricante di cioccolato non meno sbarellato è diventato uno degli idoli di tutti gli atei del mondo.   
Ma anche gli idoli hanno i loro momenti di sconforto. Come deve essere rendersi conto che essere il migliore di tutti non ti permette neanche di essere servito al bar per il colore della tua pelle? D'accordo, lui non ha studiato, ma sa riconoscere l'intelligenza e il talento in chi ce l'ha al di là delle apparenze: magari anche in questa magra ragazza di campagna, già abituata ad aver a che fare con soggetti difficili e che potrà forse spiegargli cos'è, il buio oltre la siepe.
E questo sorridente ufficiale? Chissà se i suoi commilitoni ci hanno già scommesso, o ci scommetteranno, che un giorno, dopo la guerra, andrà a studiare all'estero e poi, dopo aver ricoperto tante cariche prestigiose, diventerà il primo cittadino di tutti gli italiani; ma adesso è ancora presto, il professore di storia - e quale professore! - non è ancora in grado di convincerlo che si è trattato, anche e soprattutto, di una guerra civile. 
E sono proprio le parole "guerra" e "civile" ad aver condizionato la vita di questo cittadino del mondo, i cui capelli sono diventati precocemente bianchi a seguito di tutto ciò che ha visto. Che non potrà mai dimenticare e di cui un giorno - anzi, una "notte", la notte di Auschwitz - è riuscito finalmente a parlare.
"Ecco, dovremmo ascoltare di più queste persone, che hanno meditato a lungo su ciò che dovevano dire; piuttosto che ascoltare i commenti sconclusionati di quelli che sentono quasi il dovere di commentare in tempo reale ciò che non hanno nemmeno letto o, se l'hanno letto, non lo hanno capito". L'avrà pronunciata davvero, questa frase, l'erudito per eccellenza? Forse sì, forse no: di sicuro ne ha subito quelle conseguenze che - anche quelle, come molte altre - aveva previsto con molto anticipo.
Troppo tragico come scenario, dite? Forse. Per fortuna c'è una donna a sdrammatizzare, con la sua meravigliosa ironia - quella dote di cui secondo molto uomini stupidi le femmine sarebbero prive. Non la classica "bella figheira", ma una donna Generosa e coraggiosa, che ci saluta, anche lei, con un bellissimo sorriso.

mercoledì 30 novembre 2016

Il confine


C'è un punto, non lontano da qui, dove la laguna smette di essere laguna e diventa mare.
Un punto dove, nella mia fantasia di bambino, le chiatte e i barchini diventavano galere di mercanti e galeoni di pirati, pronti in un modo o nell'altro a conquistare il mondo. 
Quel punto esiste, lo so: ma io non sono mai stato capace di trovarlo.
L'ho cercato più di una volta, con vari tipi di imbarcazioni. La prima a otto o nove anni; con mio padre che rideva sotto i baffi, ma sotto sotto era orgoglioso di quel suo figlioletto, così determinato a trovare "il confine" e a contrassegnarlo con una X come per una mappa del tesoro, oppure con una linea tremolante, come se dall'altra parte ci fossero veramente i leoni che si paventavano nelle mappe medievali. 
Poi, smaltita quella che forse è stata la prima delusione della mia vita, ci sono tornato da adolescente, o da quasi adulto, con convinzione inversamente proporzionale al disagio che cominciavo a provare solcando le acque. 
Strano, no? Vivere in un'isola e avere paura del mare.
Ecco, forse questa paura, questo disagio deriva proprio dal fatto che in realtà un confine non si può tracciare, perché le onde che vedi adesso non sono le stesse che vedrai fra cinque minuti o fra cinque anni. Perché se anche un folle decidesse di tuffarsi esattamente in quel punto, non potresti mai dire se si trova dentro o fuori, o quando smette di essere un bagnante per diventare un esploratore.
Ma i saggi dicono che l'unico modo di vincere una paura è quello di prendervi le misure. Ecco perché, ogni volta che le gambe mi obbediscono - il ché con gli anni succede sempre più di rado - mi trascino verso quella lingua di terraferma che si affaccia sul confine.
E' l'unico modo che ho per non sentirmi affondare, nell'attesa.       

martedì 25 ottobre 2016

Sogni (a P.P.)

Ti ricordi? Certo che te lo ricordi, come potresti dimenticartelo?
Ti ricordi di com'era qui? L'equivalente di migliaia di campi da calcio.
Campo da calcio, sì, C-A-M-P-O, ha la stessa radice di campagna. E qui non c'era neanche bisogno di dire che una volta era tutta campagna, semplicemente perché la città non c'era. E se c'era, era come un altra nazione, anzi: era come volare dalla Terra su Marte. Cosa puoi pensare di trovare su Marte? Non lo sai, non ne hai idea finché non ci arrivi davvero.
E ti ricordi anche del sogno, non puoi dimenticarti neanche di quello. Che tu per mesi hai sostenuto che era impossibile; ma non perché pensavi che lo fosse davvero, solo perché non volevi darmi ragione.
E adesso lo pensi ancora, che sia impossibile sognare il futuro invece che il passato? Adesso che per entrare nei campi da calcio devi avere il tesserino, o devi chiedere il permesso al prete, al dirigente, al custode?
Pensi ancora che sia impossibile visionare mostri di cemento armato dove ci sono colza e girasoli? O credi che si possano solo anelare le rive del fiume da dove tuffarsi, lì dove ora ci sono i circoli dei canottieri e dei tennisti e dei palazzinari?
Pensi ancora che i sogni semplici, quelli fatti di rimpianti e di consigli della mamma, fossero comunque migliori?
Che vivessimo in una sorta di età dell'oro, dove il pallone rotolava fra le gambe e non fra le intersezioni delle zone della mia o della tua competenza, dove in spiaggia si andava per fare il bagno e per mostrarsi, non per morirci come se dovessi cadere da una scogliera?

Pensi ancora che si possa pensare solamente all'incontrario?  

venerdì 30 settembre 2016

Dio, l'uomo e...

- Lasci, faccio io - disse il sagrestano, inserendo rapidamente nella fessura una moneta da un euro, al posto di quella che proprio non voleva saperne di uscire dalla mia tasca.
L'abside si illuminò a giorno, e con essa anche la splendida pala d'altare che la sovrastava.
- Meravigliosa, no? - chiese lui, e non potei fare altro che confermare. Se lì per lì mi aveva vagamente infastidito il fatto che mi fosse scivolato alle spalle con quei modi untuosi che spesso ha la gente di parrocchia, la visione del capolavoro cinquecentesco ora mi metteva un tale stupore che mi trovai mio malgrado ad osservare:
- Divino...
Un baleno improvviso illuminò le vetrate alle mie spalle...decisamente il tempo andava peggiorando, rispetto alla pioggerellina leggera che avevo salutato al mio ingresso in chiesa. 
- Nel senso che è un'opera di Dio? - domandò ancora l'uomo vestito di nero, con un sorriso difficile da interpretare.
- Non saprei - risposi prudentemente. Non mi andava di sbandierare il mio pur conclamato ateismo proprio in una simile situazione.
- Se lei è venuto fin qui, sicuramente è un appassionato d'arte - constatò lui. 
Annuii. Il fastidio iniziale nei confronti del mio interlocutore stava lasciando il posto a qualcosa che, in altre circostanze, avrebbe potuto essere simpatia. Il suo tono di voce, secco ed essenziale, era gradevole. Gli occhi rossi e il taglio affilato del viso, molto meno.  
- Quindi saprà benissimo che i quadri non sono mai totalmente opera di Dio, nè mai totalmente opera dell'uomo. - proseguì. - Lei conosce la storia di questo dipinto?
Certo che la conoscevo. Era pur sempre legata alla mia città di origine.
- Sì - risposi - fu commissionata dagli abitanti di...
- No, non quella. - mi interruppe lui. La VERA storia.
- Ehm...no, non credo - borbottai, non proprio a mio agio.
Fuori continuava a tuonare e, nonostante la luce dell'abside si fosse spenta già da qualche minuto, i lampi continuavano ad illuminare a giorno la chiesa, passando dalla tela sopra l'abside al volto di quello che cominciavo a non essere molto sicuro che mi fosse venuto in aiuto, inserendo quella moneta al posto mio.

venerdì 26 agosto 2016

Pezzettini


- Ma quindi è così che si vede dopo che sei morto?
- Cioè?
- Sfocato... 
- Normalmente, no. La percezione è esattamente la stessa che avevi da vivo.
- Non capisco. Io vedo tutto nebuloso...O meglio, non tutto. Solo le persone. Non sempre, ma quasi.
- Aspetta. Dove ti trovi adesso?
- A Samarcanda.
- Ben strano. Ti è successo solo lì?
- No, anche a Taxila. O a Teotihuacan.  
- Wow, destinazioni insolite e meravigliose...
- Eh, già. Da vivo ho sempre adorato viaggiare e, una volta saputo che da morto avrei potuto andare in qualsiasi posto in pochi secondi, ho deciso di approfittarne più che potevo...
- E hai fatto benissimo. Ora prova a cambiare destinazione: tipo Parigi, o meglio ancora Roma o Milano.
- Bene.

- Come va?
- E' strano. Adesso sono a Roma, ad esempio. 
- E vedi differenze?
- Sì. Intanto qui ci sono molte più persone...ma è ovvio, penso. Il fatto è che alcune le vedo benissimo, altre molto più sfumate.
- Ah, certo. Ora è tutto chiaro.
- Quindi?
- Pensaci bene. Secondo te quante persone visitano Roma ogni giorno, ogni anno?
- D'accordo, infatti ce ne sono tantissime. Ma perchè alcune più chiare ed altre meno?
- Vuoi fare un ulteriore prova? Spostati a Venezia.

- Eccomi. Qui devo dire che riesco a percepirle quasi tutte.
- Hai visto?
- Ma come si spiega?
- Semplice. Sai quando si dice, dopo un viaggio, "ho lasciato laggiù un pezzettino di me"? Non è affatto una metafora. Lo spirito delle persone continua ad affollare le città, i luoghi dove sono state anche dopo che sono andate via. E i morti riescono a vederle più o meno bene, a seconda di quanto le persone stesse vi hanno lasciato. Probabilmente, altre persone prima di te ti hanno visto in decine, centinaia di luoghi diversi, ed in ciascuno di questi hanno percepito una tua ombra più o meno estesa.
- Ah, certo. Ci sono tantissimi posti in cui ho lasciato una parte di me...quelli che ora ho tutto il tempo che voglio per visitare. Ora capisco anche quella sensazione che provavo mentre li percorrevo...
- Quale?
- Quella di passare totalmente inosservato. Di essere, come persona, un piccolo zero di fronte a ciò che vedevo.
- Forse ci si dovrebbe sentire sempre così. Buoni viaggi!   

sabato 30 luglio 2016

Mind games

Quando ero piccolo, credevo (e non penso di essere stato il solo) che tutti i miei giocattoli, quando io non li vedevo - di notte, o quando andavo in vacanza - si animassero e giocassero per conto loro.
Non so se era volontà di potenza, razionalizzazione spinta o cos'altro; ma ricordo di aver cominciato presto a farli interagire anche in mia presenza. Spesso al pomeriggio rovesciavo sul pavimento tutte le scatole che li contenevano e piazzavo, ad esempio, un playmobil all'interno di un camion lego, lo facevo fermare a una pompa di benzina di una pista e magari gli facevo fare il giro del monopoli, fermandomi in ogni casella a commentarne il nome e l'aspetto.
Molti di quei giochi ritengo siano stati buttati, altri so per certo che si trovano ancora nella casa in cui non vivo più da tempo. 
Non saprei dire se, nel buio della camera che ormai è disabitata quasi da più tempo di quanto non sia stata occupata, i pochi superstiti escono ancora dagli armadi, si guardano, si cercano; o se siano stati in grado, nel corso degli anni, di stabilire delle connessioni molto più forti di quelle che potevano creare la mia testolina e le mie piccole mani di bimbo.
A volte mi piacerebbe sapere, se le cose hanno ancora bisogno di me oppure no. 


giovedì 30 giugno 2016

Conversazione con Yannis Ritsos

" - Ma perchè sei tornato qui? 
- Non ho deciso io di tornarci. Ero già morto!
- Ma se avessi potuto scegliere, saresti tornato qui?
- Certo. Non ho niente da rimproverare a questo posto. Vorrei poter vedere un po' di più il mare, da qui non si vede molto. Ma va bene così.
- La tua rassegnazione non ha molto di greco...
- Chiamala rassegnazione, se vuoi. 
- Tu come la chiameresti?
- Non lo so. Parliamo due lingue diverse e nella traduzione molto si perde.
- Ma il linguaggio della poesia è universale...
- Sì, quello sì. Ma io e te non stiamo parlando in versi, per fortuna. Sai che noia sarebbe una conversazione in metrica?  
- Hai ragione. Ma anche scegliere di riposare nel luogo dove si è nati è da greci?
- Non mi sembri molto preparato sull'argomento. Che giorno era ieri?
- Il 15 agosto.
- La dormizione di Maria. Il giorno in cui i greci tornano nel luogo dove sono nati. Lo fanno una volta all'anno, perchè non dovrebbero farlo anche da morti?
- Non lo sapevo. Scusa la domanda stupida.
- Figurati...sai, mi hanno fatto molte domande stupide nella mia vita, soprattutto persone in uniforme. Tu non mi sembri fatto di quella pasta, ma... Mi chiedevi: perchè proprio qui. Non ti basta guardarti intorno? Sapresti immaginare un posto migliore di questo?
- Non so. Stamattina sono stato ad Aghia Sophia, tirava un vento che sembrava venuto direttamente dall'Odissea...
- Terribile, questa. Non avrei saputo scrivere di peggio.
- Sì, è vero. Se penso al mare visto da lì sopra non posso che darti ragione, sul fatto che sia un ottimo posto per riposare. Però venendo fino a qui ho incrociato solo turisti e yacht, mica argonauti e navi nere...
- Forse perchè tu vedi con gli occhi dei vivi. Ma può anche darsi che sia un privilegio. 
- Davvero?
- Sì, perchè no? Io da vivo ho visto tante cose che forse sarebbe stato meglio non vedere...e forse proprio per questo mi sono dedicato alla poesia. Tu scrivi poesie?
- Beh, sì. Chi non le scrive?
- Io, ad esempio. Bastano e avanzano quelle che ho scritto da vivo, no?
- Sarebbe educato rispondere no...
- Sarebbe, sì. Ma lascio volentieri il privilegio di pensarle e scriverle ai vivi. 
- Anche ai turisti?
- Certo. "Chi non le scrive?", chiedevi. Questa è una buona domanda, anche se non richiede risposta.
- Grazie, Yannis.
- Di nulla. Arrivederci. "

Monemvasia, 16 agosto 20.. 
     

martedì 24 maggio 2016

Una giornata particolare

Sì, questo giorno me lo immaginavo proprio così.
E' passato meno di un mese da quando abbiamo preso la "grande decisione"...
Troppo poco tempo? E perchè? Quando sei convinto di una cosa non c'è tanto da girarci intorno. E poi, non c'era bisogno di tutti questi preparativi... 
In ogni caso, tutto sta andando secondo i piani...o almeno spero.
E' solo a me che tremano le gambe? Sembrano tutti così tranquilli...anche mamma e papà, si vede che stanno facendo uno sforzo pazzesco...ma non piangono.
A me sì, un po' viene da piangere. Ma poi penso che ci sono tutti miei amici più cari, al vestito bellissimo che ho comprato solo per oggi e che non indosserò mai più. Al fatto che una giornata come questa non la vivrò mai più. 
In alto i calici!
Bevo tutto d'un fiato...l'alcool non mi fa un grande effetto, ormai.
E' arrivato il momento...
Ripensamenti?
Certo che no. 

Fatemi questa iniezione. Voglio solo riposare in pace, per sempre.  

giovedì 28 aprile 2016

I comandamenti



E non si deve ammazzare, no. 
Ma io non ho mai ammazzato nessuno. Il mitra l'ho preso in mano e l'ho anche usato, ma solo sui barattoli, per fortuna.
E non si deve dire bugie, no.
Ma io non ho mai detto bugie. Il Luigi sì, ti ha detto un sacco di balle, che con lui saresti stata felice e avresti fatto la signora, io questo non te l'ho mai detto. 
E non si deve rubare, no.
Ma noi non abbiamo rubato niente. Avevamo fame e quando hai fame non è rubare. 
Però sì, una cosa l'ho rubata. Ma è per te e quindi non è rubare. E' una rosa e mica ci ho i soldi per comprartela una rosa, l'ho presa dal giardino della piazza.
E non ci si deve mai inginocchiare davanti a nessuno, no.
Forse non lo avrei fatto nemmeno per te, io non sono tipo da fare ste cose. Ti ricordi la canzone che cantavo sempre? 
"All'amore tuo fanciulla
un altro amor io preferìa
un'idea l'amante mia
a cui detti braccio e cuor"
Però la canzone diceva anche 
"Nel dì che vinceremo
braccio e cuor ti donerò". 
E anche una rosa, te la dono.  
Ma non è per quello che sono in ginocchio. 
Proprio mentre ti stavo dando la rosa, mi hanno sparato alla schiena. 
I fascisti che se ne vanno, quel vigliacco del Luigi, proprio lui.       

Venezia, 28 aprile 1945.


martedì 22 marzo 2016

Teach your children?

- Hai preso tu la chiave del cassetto?
- Certo che no. 
- Ah.
Lei sbattè i piatti sul tavolo.
- Allora. Io non l'ho presa. Tu neanche, altrimenti non me lo chiederesti. Papà non lo farebbe mai...direi che non è difficile!
- Dopo glielo chiedo e, se mi racconta palle, sono guai.
- Forse dovevi parlarci prima che ammazzasse il coniglio.
- Ci ho parlato subito dopo. Mi ha spiegato che ha sbagliato a prendere la mira.
- E tu ci hai creduto?
- Sì - rispose lui, guardandola fisso negli occhi.
- E a cosa stava mirando, glielo hai chiesto? 
- Insomma...
- Insomma lo dico io. Ma ti sembra normale che un ragazzino della sua età possa maneggiare una pistola?
- Infatti è per quello che la tengo sotto chiave.
- Certo, dopo che ha scritto in un tema che suo padre gli fa usare la pistola e la maestra lo ha letto in classe davanti a tutti.
- Come se la maestra non la pensasse come noi.
- Ma che c'entra? 
- Sai benissimo anche tu che da queste parti gira brutta gente.
- E tu pensi di sparare a tutta questa brutta gente? Anzi, di far sparare a un bamb...
- Zitta! Hai sentito?
Lei non perse nemmeno tempo a rispondere e si precipitarono fuori insieme, quasi scontrandosi con il padre di lei che, in canottiera e pantaloni corti, muto, indicava il cortile. 
O meglio, indicava contemporaneamente la bicicletta rovesciata, il ragazzo che stringeva la pistola e l'altro ragazzo, poco più vecchio, disteso a terra col sangue che cominciava ad inzuppare la camicia nera.
Senza voltarsi, il ragazzo che stava in piedi appoggiò la pistola a terra. 
- Se posso sparare a un coniglio, posso sparare a un fascista.

Da qualche parte in Europa, anni '40. 


martedì 23 febbraio 2016

La morte della sinestesia

Il ragazzo si avvicinò alla ragazza e toccò la benda. Era una semplice fascia nera, non troppo stretta nè troppo larga. Il ragazzo guardò negli occhi la ragazza; e quegli stessi occhi che lei aveva celato sotto quella striscia, adesso sostennero tranquillamente lo sguardo di lui. 
La musica si era ridotta a un semplice pulsare, come se venisse da un pianeta lontano e non più da pochi metri di distanza. 
Il ragazzo fece il gesto di legarsi la benda poco sotto l'attaccatura dei capelli, ma poi la tolse e la ridiede alla ragazza, come un bambino che non vuol chiedere aiuto alla madre. 
- Lo faccio spesso, comunque - disse lei.
- Cosa?
- Mettermi la benda. Quando sento una musica a cui posso completamente abbandonarmi, cerco di percepire solo quella. 
- Non puoi semplicemente tenere gli occhi chiusi?
- No. Le luci mi danno fastidio. Le luci non c'entrano niente con la musica...sarebbe meglio il buio totale, non credi?
- Be', ma tanto tu non te ne accorgeresti...
- Lo sentirei.
- Sentire non è la parola giusta forse.
- Lo sentirei dentro. Qui non è "sentire" nel senso di ascoltare... - lei accennò un sorriso - cavolo, non è colpa mia se in italiano si dice allo stesso modo.
- Io invece non potrei mai "sentire" questa musica senza vederla - esclamò secco lui.
- Ma come fai a vedere la musica?  
Il ragazzo fece una pausa studiata.
- E' l'unico modo che ho di sentirla - rispose, dopo essersi tolto i tappi dalle orecchie.

venerdì 29 gennaio 2016

Primi passi

Sembrerà impossibile, ma anche da quassù riesco a vederli. 
Se mi mettessi di impegno, riuscirei anche a contarli. Non dico a guardarli in faccia...ma perchè no? Diciamolo pure. Sarà la sensazione di onnipotenza data dall'essere così in alto. Per la precisione, sul terrazzo che si trova sopra il ventesimo piano. Periferia della città...ecco perchè sono così pochi. Qui non ci abita nessuno, si viene solo per riempire il tempo fra una strisciata di cartellino e l'altra. Lo chiamano "lavoro".
Sì, potrei guardarli in faccia uno per uno. Non sono più di una quindicina, evidentemente l'allarme è stato appena dato.
E scommetto che stanno pensando tutti la stessa cosa.
Non lo fare.
Fallo.
E non sanno ancora che esaudirò entrambi i loro desideri contemporaneamente.
Ah, sì, probabilmente ci sarà qualcuno di loro che pensa di potersi immedesimare, magari perchè conosce qualcuno che ha avuto un amico o un conoscente che si è gettato da un palazzo. E quindi si staranno chiedendo se è vero che un attimo prima o un attimo dopo ti scorre tutta la vita davanti, come in un brutto film americano.
Non è vero.
L'unica cosa a cui pensi è come mettere i piedi. I primi due passi, il destro e il sinistro. 
Il tempo che hai per pensarci dipende da quanto ci mettono ad arrivare coi mezzi di soccorso e, eventualmente, dal fatto che ci sia qualche coraggioso che prova a intervenire prima.
Finora nessuno. Anche se comincio a sentire le sirene esattamente dalla direzione da cui dovrebbero arrivare.
Ok.
Prima il destro.
Poi il sinistro.
Poi...