Ma chi decide quando "è solo un gioco"?
E quali sono i confini del gioco?
Almeno alla seconda domanda, si potrebbe dare una risposta: è una questione di regole, tutto ciò che è permesso si può fare e tutto ciò che è vietato, no. Il che va benissimo se parliamo di sport a livello agonistico: chi lo pratica di mestiere o quantomeno di abitudine sa benissimo quello che sta facendo e, soprattutto, i motivi per cui lo fa.
Ma gli altri? Chi gioca a calcio o a qualsiasi altro sport per puro divertimento...ma è solo e sempre puro divertimento? O la componente di agonismo che in misura variabile è sempre presente, vi si sovrappone in maniera decisiva? Quando un tuo compagno gioca al limite del consentito contro gli avversari, o si pone in maniera polemica negli stessi tuoi confronti, come lo chiami?
E' il dilemma in cui si trova Ben Stiller-Greg Focker in Ti presento i miei. Vi ricordate la partita a pallavolo in piscina? Greg si trova in squadra con il futuro suocero Jack (con cui i rapporti non sono esattamente idilliaci), che lo invita ripetutamente a giocare con più attenzione e soprattutto grinta. Così, il buon Greg, esasperato, finisce con lo stampare una schiacciata dritta sul naso della futura cognata, spaccandoglielo e provocando la reazione ancora più furiosa di tutti i presenti e in particolare (ovviamente) di Jack, che gli urla: "E' solo un gioco, cavolo"!
Il film è divertente, ma questa scena non fa ridere. Anzi, direi che è una delle scene più crudeli del cinema americano recente: crudele proprio perché inaspettata in un film sulla carta piuttosto leggero.
In questo caso, il meccanismo degli equivoci che colpisce il povero Focker innesca una riflessione potenzialmente più ampia (e terribile): un conto è quando gli altri ti attribuiscono comportamenti o qualità negative che non hai, un altro è quando non ti danno punti di riferimento. Quando sei l'unico a non sapere a che gioco stai giocando.
O, peggio ancora, se stai giocando oppure no.
Nessun commento:
Posta un commento